giovedì 18 novembre 2010

Corpi di donna usati nelle campagne razziste



Sono le immagini della campagna contro l’immigrazione di una Svizzera sempre più razzista.

Un razzismo consumato sui corpi delle donne. Perfette, magre, più o meno ariane, quelle a sinistra, le svizzere doc. Robuste, tracagnotte, obese, sgraziate, fumatrici, vestite da casalinghe meridionali o da donne rom, quelle a destra, le straniere. Nel primo caso c’è l’immagine di ordine, bellezza, candore, l’acqua nitida. Nel secondo caso l’acqua assume il colore sporco dell’immigrazione e sembrano le acque del nilo o di uno qualunque dei fiumi in cui le donne si immergono vestite.

Il corpo di una straniera si distinguerebbe dunque per abbigliamento trasandato, come se la povertà fosse una colpa, e per la grassezza. Lo stesso paragone che facevano i nazisti in epoche lontane quando dovevano imporre un razzismo lombrosiano fatto di parole e simboli che non avevano senso.


Quella alla vostra sinistra è una delle immagini che venivano mostrate in accostamento ad immagini di donne bianche dai corpi longilinei, chiari, perfetti per dimostrare l’inferiorità delle donne nere. Ed era solo il primo passo verso una omologazione dei corpi che insiste tutt’ora a colpi di pubblicità e campagne di industrie dell’estetica che sono pienamente complici mentre veicolano modelli femminili unici dei corpi femminili. Mentre tutte le altre si sentono inadeguate, insicure, non meritevolidel risuscitato orgoglio nazionale.

L’italia ha ricominciato a usare con chiarezza questo metro di comunicazione in moltissimi casi. Ne cito uno tra tutti: l’orgoglio della bellissima donna della crocerossa che sfilava davanti al premier, presentata dal quotidiano Libero come il simbolo dell’alternativa concreta al governo prodi.

Ma restiamo in Svizzera, questo luogo apparentemente lindo e perfetto dove l’anno scorso campeggiava per le strade di Zurigo un cartellone con gli immigrati che pescavano documenti da un cesto offerto dalla sinistra, giusto per dire che la sinistra è cattiva a differenza della destra che sarebbe buona. Un rovesciamento di valori, lo stesso che vediamo in Italia, dove la cattiveria e l’egoismo vengono eletti a meriti e l’altruismo o la bontà diventano difetti.
ecisamente in Svizzera, come in gran parte dell’europa più a nord e dell’italia settentrionale, non si respira una buona aria. Pensate soltanto che qualche settimana fa a Zurigo hanno fatto un vero e proprio raduno antifemminista. Partecipato dai misogini italiani, annunciato con proclami come “Kampf gegen den Feminismus, ovvero “guerra contro il femminismo”, a celebrare la reunion di una sedicente associazione antifemminista di un asse svizzero/tedesca, con gli italici alleati in prima fila (nostalgici mussoliniani?), per rappresentare la stessa serie di deliranti questioni che vengono diffuse in italia, america, europa, dai soliti che raccattano uomini disperati, padri separati, per portare avanti campagne contro le donne, campagne negazioniste sulla violenza maschile contro le donne, tesi falsabusiste e il solito copione di proposte legislative a revisione del diritto di famiglia e a restaurazione di privilegi per i maschi a danno di donne e bambini. Il raduno alla fine pare si sia celebrato sullo stile carbonaro con pochissimi presenti, nessuno dei quali ha voluto mostrare la propria faccia a parte l’organizzatore.

Discriminazione razzista e discriminazione contro le donne vanno di pari passo ed è questo quello che avviene in europa e che ci spazzerà via se non reagiamo con impegno e determinazione.

Noi siamo meridionali e di razzismo culturale, anche in rapporto ai nostri corpi, ne abbiamo subito tanto. Eravamo descritte come brutte, nere e pelose. Conta poco che greci e normanni abbiano sparso per il meridione carnagioni chiare, capelli biondissimi e occhi azzurri. Restiamo comunque, e con orgoglio, africane, arabe, straniere, vittime di una annessione geografica e culturale che continua ancora adesso.

Siamo figlie di quel sud che viene usato come discarica e che se si ribella viene massacrato dagli eserciti che vengono inviati dai ministri lombardi. Siamo quelle che indossano con orgoglio taglie più alte della 42 e che vivono la fisicità senza stitichezza e senza complessi. Non fosse per le pubblicità che dicono alle donne meridionali che quei corpi sono sbagliati, che non sono sufficientemente ariani. Non fosse per le campagne politiche, reazionarie e fasciste che usano i corpi delle donne per dare l’idea di un governo corrispondente all’estetica delle sue ministre e deputate.

Non so voi, ma certamente all’immagine che riprende spunto dalla Svizzera che si arricchiva con il lavoro degli immigrati, italiani meridionali tra gli altri, io preferisco l’immagine delle donne che parlano, stanno insieme, fanno sorellanza, si rilassano, con sembianze che somigliano di più a quelle di una vecchia nonna o di una zia. Corpi perennemente offesi che pure vengono usati come stereotipo della donna materna.

Il punto è che un abbraccio morbido è più bello di un abbraccio ariano. Ma soprattutto spiegatemi perchè ultimamente se quattro donne vanno a fare il bagno nude vengono denunciate per atti osceni in luogo pubblico. Se in Italia si parla di decoro, si impone l’allungamento della minigonna e sono crocifisse le donne che vanno in giro svestite, qual è la differenza tra noi e altre donne sottoposte ad altro genere di patriarcati?

Questa estate farò un bagno con la mia nudità africana contro il razzismo. E se mi denunceranno o mi inviteranno a indossare uno dei tanti burqa italiani, dirò che sono gli svizzeri che non sopportano le donne vestite …


DA femminismo-a-sud

martedì 9 novembre 2010

Sgomberi dei campi Rom: denunciati la Moratti e De Corato


Un gruppo di cittadini chiede di procedere contro sindaco e vice-sindaco di Milano per abuso d'ufficio, interruzione di servizio pubblico e danneggiamento

Letizia Moratti e Riccardo De Corato denunciati per gli sgomberi dei Rom a Milano. Trentanove cittadini, assistiti dagli avvocati Gilberto Pagani e Anna Brambilla, hanno presentato denuncia nei confronti del sindaco e del vice-sindaco di Milano per i reati di abuso d'ufficio, interruzione di servizio pubblico (relativamente all'obbligo scolastico di minori) e danneggiamento, con l'aggravante di averli commessi per finalità di discriminazione e di odio etnico e razziale. E' la prima volta che un gruppo di cittadini milanesi, riuniti nel Gruppo di Sostegno Forlanini e da alcuni genitori che seguono le famiglie Rom di Rubattino, presentano una denuncia contro l'amministrazione pubblica per gli oltre 360 sgomberi di campi Rom attuati senza alcuna alternativa abitativa dal Comune di Milano negli ultimi tre anni. Cinque milioni di euro sono stati spesi per la 'sicurezza' e gli sgomberi, in assenza totale di progetti di accompagnamento e integrazione, con il corollario dell'interruzione di percorsi scolastici per i bambini Rom.

Il Gruppo di sostegno Forlanini è nato all'epoca dell'occupazione, da parte di centinaia di immigrati, in prevalenza del Corno d'Africa, dell'ex caserma militare di viale Forlanini: donne e uomini in fuga dalla guerra, dalla repressione e dalla fame, per la maggioranza in possesso del permesso temporaneo per motivi umanitari, ma sempre discriminati e obbligati a stare nascosti tra i topi e l'immondizia. Dopo lo sgombero del 20 aprile 2007, nella campagna retrostante si vennero a insediare alcuni piccoli nuclei di Rom, composti da coppie di anziani, famiglie allargate con bimbi piccoli, ragazzi soli, spesso reduci da altri sgomberi o in fuga dalla Romania.

Da due anni il Gruppo svolge la sua attività umanitaria all'interno del piccolo campo in collaborazione con associazioni di volontariato milanesi, acquistando generi di prima necessità, svolgendo accompagnamento sociale verso il pronto soccorso o gli ambulatori medici, fornendo sostegno per le pratiche burocratiche e l'approccio scolastico dei bambini, portando tende, coperte, vestiti.


Il 20 ottobre scorso si è svolto l'ultimo sgombero in viale Forlanini. Le baracche e le tende sono state distrutte dalle ruspe, e gli abitanti del campo vagano per la città. Alcuni di loro sono rimasti, costretti a fuggire all'alba prima dell'arrivo della polizia per evitare l'ennesimo sgombero.

da peaceReporter

venerdì 5 novembre 2010




Il 9 novembre alle ore 8,30 presso la Corte d’Appello di Lecce avrà luogo una delle ultime udienze del processo relativo all’affondamento della nave Kater I Rades.

La vicenda di cui oggi si dibatte risale al 28 marzo 1997, quando, in un clima di isteria generalizzata contro gli albanesi che arrivavano dal mare, una nave militare italiana (la Sibilla) speronò in acque internazionali la carretta del mare Kater I Rades, provocandone l’affondamento con la morte di circa ottanta persone, molte delle quali donne e bambini, in fuga dalla rivolte scoppiate in Albania in seguito alla crisi delle “Piramidi Finanziarie”.

Nonostante le testimonianze dei sopravvissuti che da subito hanno denunciato lo speronamento ad opera della nave Sibilla, oggi si tenta di archiviare quella tragedia come un errore accidentale provocato da chi era al timone della Kater I Rades.
Un tentativo, che oltre ad affossare la verità storica, nasconde le evidenti responsabilità politiche del Governo Italiano e dei Vertici della Marina Militare.

Quella tragedia, infatti, fu una delle conseguenze della politica dei respingimenti generalizzati inaugurata in quegli anni dal governo italiano.
Quella stessa politica che ha trasformato il mar Mediterraneo in uno dei più grandi cimiteri senza lapidi della storia recente (l’ONU denuncia che in 10 anni, sono state più di 10.000 le persone morte nel Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l’Europa).


Uno Stato democratico non può accettare che in nome della presunta sicurezza di un Paese, si innalzino barriere che impediscono ogni forma di accoglienza e che violano il diritto internazionale.

La politica dei respingimenti, in aperta violazione con la Convenzione di Ginevra, nega il principio non refoulement che è uno dei principi cardine del diritto internazionale del rifugiato. Un principio che sancisce il divieto per gli Stati nazionali di respingere il richiedente asilo o il rifugiato verso luoghi dove la sua libertà e la sua vita sarebbero minacciati.

L’Italia, così come è avvenuto in passato con gli accordi bilaterali con il governo albanese, continua oggi, con il trattato di Amicizia, Partenariato e Cooperazione siglato con la Libia, a non rispettare La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (art.13 diritto alla libertà di movimento) e i diritti dei richiedenti asilo.