giovedì 25 febbraio 2010

1° MARZO ANTIRAZZISTA A LECCE


1° MARZO ANTIRAZZISTA A LECCE

Contro la deriva razzista e reazionaria del Governo italiano
Contro la repressione e lo sfruttamento dei migranti
e dei lavoratori
contro l'omofobia e le discriminazioni di genere

“UN GIORNO SENZA DI NOI” SCIOPERO GENERALE DEI MIGRANTI
a Lecce, in Italia, in Francia, in Europa

Milioni di persone immigrate vivono in Italia e in Europa. Cosa succede se un giorno decidono di fermarsi, di non andare al lavoro, a scuola, a comprare nei supermercati?

Fermarsi per un giorno per dire a tutti che:
- immigrare non può essere un reato
- i migranti non sono pericolosi parassiti o solo braccia da sfruttare nel lavoro
- le leggi razziste e il permesso di soggiorno legato al lavoro rendono precaria e sempre
sotto ricatto la vita dei migranti
- la discriminazione e la precarietà dei cittadini e lavoratori migranti rendono precari
anche i diritti e la sicurezza dei cittadini e lavoratori italiani
- le donne e gli uomini immigrati, i figli degli immigrati nati o cresciuti in questa terra, sono i nuovi cittadini, sono lavoratori e lavoratrici, sono alunni e studenti. Sono parte dell’Italia di oggi.

LUNEDI' 1 MARZO MANIFESTAZIONE A LECCE per:
* un mondo senza più razzismo e frontiere
*la regolarizzazione generalizzata per tutte/tutti
* la chiusura dei CIE e l'estensione dei diritti fondamentali e necessari
DIGNITÀ, SALUTE, CASA, LAVORO, ISTRUZIONE

APPUNTAMENTO A PORTA NAPOLI - LECCE
ALLE ORE 16,00


ReteAntirazzistaSalento

reteantirazzistasalento@yahoo.it

mercoledì 24 febbraio 2010

verso il 1 marzo -sciopero dei migranti presentazione del libro_LA STRANIERA_alla Casa delle Donne di Lecce

La Casa delle Donne Lecce
in collaborazione con
ReteAntirazzistaSalento


presenta il libro LA STRANIERA
AA.VV. Edizioni Alegre,2009






“Che cosa significa pensare il
razzismo in una dimensione di
genere?...



E’ vero che il rapporto di potere
tra uomini e donne deve essere
considerato il prototipo di ogni
razzismo?”

Ne parliamo con:

Laura Corradi Docente di Studi sulla Costruzione Sociale delle Differenze di Genere
Facoltà di Scienze Politiche Università della Calabria
co-autrice del libro

Katia Lotteria
ReteAntirazzistaSalento

Melissa Perrone
giornalista

SABATO 27 FEBBRAIO ore 19,00
presso La Casa delle Donne
viale dell’università ex liceo musicale

Al termine, aperitivo musicale.

Ingresso libero



sabato 20 febbraio 2010

"HANNA E VIOLKA" IL DOCUMENTARIO SUL LAVORO DELLE "BADANTI"


GUARDA IL TRAILER QUI
VISITA IL SITO


Sabato 20 febbraio 2010
presso l'auditorium del Museo Provinciale di Lecce, ore 18:00, PRESENTAZIONE del film DOCUMENTARIO "HANNA E VIOLKA" di Rossella Piccinno e dibattito sulla migrazione di genere, all'interno del progetto "Le 100 voci della mia provincia".

Intervengono:
Antonio Gabellone (Presidente provincia di Lecce)
Bruno Ciccarese (Ass. Politiche Giovanili Provincia di Lecce)
Adriano d'Andrea (C.T.S. Roma)
Maria Rosaria Panareo (Sociologia delle Migrazioni)
Rossella Piccinno (Regista)
Ada Donno (Associazione NaeMi)
Luigi Chiriatti (Kurumuny Edizioni)

Coordina :Antonella Mangia, Ass. NaeMi, forum di donne Native e Migranti

All'interno dell'evento sarà presentata l'edizione in DVD del documentario distribuito da Kurumuny e Anima Mundi Edizioni..

"Hanna e Violka":

Sinossi:
Hanna Korszla è una delle 1.700.000 badanti presenti in Italia, vive in Salento da tre anni insieme a Gina e Antonio, un anziano ultraottantenne malato di Alzheimer, di cui si occupa costantemente. Violka è sua figlia, diciannovenne polacca senza lavoro. Le vite di Hanna e Violka si incontrano come in uno specchio scambiando i propri ruoli nella cura di ‘Ntoni. E’ così che Hanna può finalmente ritornare in Polonia a riabbracciare il resto della sua famiglia confrontandosi con un presente e con un passato difficile, mentre Violka, badante-bambina, fa i conti con un soggiorno che non si rivela essere proprio “una vacanza”.
“Hanna e Violka” è un film sulla trasformazione, quella privata delle protagoniste a confronto con differenti ruoli, e quella sociale dell’Italia che invecchia, della famiglia che cambia, delle straniere venute dall’Est per diventare quasi “di famiglia” . E’ un film sulla migrazione di oggi e sulla straordinaria capacità delle donne di affrontare con forza e ironia le dure sfide del quotidiano.

Note di regia:
Avvicinandomi a questo tema con il mio precedente lavoro “Voci di donne native e migranti” ho sentito l’esigenza di fare un ulteriore passo in questa direzione spostando la mia ricerca dal documentario corale al film privato, dalla realtà detta alla realtà mostrata.
Per questo motivo ho scelto di raccontare la vita di Gina e ‘Ntoni, miei nonni materni, e di Hanna, la loro badante polacca, avventurandomi personalmente in una riflessione che non è solo antropologica e sociale ma prima di tutto intima e personale.

Credits
Soggetto: Rossella Piccinno | Sceneggiatura: Rossella Piccinno, Nicolas Gray, Maggie Armstrong | Regia: Rossella Piccinno | Camera: Rossella Piccinno | Cast: Antonio Cacciatore, Hanna Korszla, Violka Korszla, Giovanna Margarito | Montaggio: Rossella Piccinno | Assistenza al montaggio: Tommaso del Signore | Musica: Marco Mattei, Marco Pierini| Produzione: Rossella Piccinno, DakhlaVision, Variemani | Co-produzione e distribuzione: Kurumuny, Anima Mundi edizioni | Con il sostegno di: Apulia Film commission | In collaborazione con: Naemi, forum di donne native e Migranti | durata: 56’ | Italia 2009
www.dakhlavision.com - info@dakhlavision.com



Festival:

- novembre 2009: Med Film Festival, Roma.
- dicembre 2009: Festival del cinema italiano di Istambul, Istambul, Turchia.
- Dicembre 2009: Festival Obiettivi sul lavoro, Roma.
- Gennaio 2010: Bari International Film festival.
- Marzo 2010: World Film festival, Tartu, Estonia
- Aprile-Maggio 2010: Doc in Tour, rassegna itinerante nelle sale cinematografiche dell’Emilia Romagna.

Premi:

- novembre 2009: Vincitore del Premio Open Eyes 2009 come Miglior Documentario Internazionale al Med Film Festival.

Motivazione:
Per la sensibilità poetica con cui si racconta una vicenda privata, che coinvolge due famiglie, una italiana e una polacca, testimoni dirette delle trasformazioni dell’Europa di oggi, tra migrazioni e cambiamenti sociali.

- dicembre 2009: Vincitore del festival Obiettivi sul Lavoro come Miglior Film Documentario:

Motivazione:
La regista, attraverso una scelta oculata ed efficace del soggetto, ha dimostrato profondità di analisi e metodo. Il linguaggio ancora non completamente maturo del film è controbilanciato da una notevole sensibilità nel cogliere momenti di vita intensi e significativi. In particolare la scelta della protagonista, una donna carica di energia umana e simpatia, permette di andare in profondità nella narrazione di una vicenda lavorativa estrema in contesto sociale ricco di contraddizioni come quello dell’Italia rurale.

Rossella Piccinno - biografia:

Rossella Piccinno, si laurea in Cinematografia Documentaria e Sperimentale al DAMS di Bologna, per diplomarsi successivamente come Tecnico di produzione video. Debutta alla regia con il corto Intenso sei nel 2005, a cui seguono i documentari Mauritania: città-biblioteche nel deserto (2006), Occhi negli occhi-Memorie di viaggio (2007), Voci di donne native e migranti (2008), To my Darling (2008), fino al suo ultimo lavoro Hanna e Violka (2009). Attualmente è artista residente presso lo Studio Nazionale di Cinema e Arti Contemporanee “Le Fresnoy”, in Francia.


mercoledì 10 febbraio 2010

Il burqa, velo della coscienza

da Antonella Caranese*
Daniela Spiga**
IL MANIFESTO SARDO
05/02/2010


La Commissione di studio del Parlamento francese si muove verso il divieto per le donne di indossare il burqa e il niqab nei luoghi pubblici: presto una legge potrebbe vietarne l'uso nelle scuole, ospedali, trasporti pubblici e uffici statali. Il divieto di indossare burqa e niqab per le donne musulmane è stato invocato dalla maggior parte dei partiti di destra dei paesi dell'Unione europea, Italia compresa: qui da noi, infatti, la Lega ha presentato un'analoga proposta di legge, sulla quale la ministra Carfagna si è espressa immediatamente a favore, così come, in maniera trasversale, molte donne di destra e di sinistra.
Vietato il burqa, per legge o per decreto: strappiamo, con l’imposizione normativa, alle immigrate il niqab dalla faccia.

Fuori dalle scuole europee le sottomesse alla religione. Se vogliono stare nei nostri civilissimi Paesi, che si mettano anche loro microgonna e push-up, esattamente come facciamo noi, che abbiamo conquistato, sebbene solo formalmente, la libertà di farci valutare al primo sguardo.
Davvero crediamo così di avere dato “pari opportunità” alle immigrate? Vietando loro di essere diverse da noi? È autentico questo improvviso, prepotente e improcrastinabile interesse per l’emancipazione femminile? E siamo sicure/i che legiferare sul corpo delle donne, come se non
appartenesse alle donne stesse, in quanto persone, ma piuttosto allo Stato e più precisamente al Governo, sia il modo giusto?

Anche il Consiglio Comunale di Imola si è occupato del tema il 13 gennaio scorso, a seguito ad una mozione presentata dal Consigliere Mondini (UCD) che addirittura, da un punto di vista meramente maschile (noi diciamo anche maschilista) voleva imporre per regolamento di escludere dai benefici economici comunali le donne che indossano il burqa o il chador oltre che
chiedere l’affissione di un cartello, alle porte della città, inneggiante alla non disponibilità della nostra città ad accogliere donne velate. In questo senso abbiamo accolto con favore il dissenso espresso sia dalla Commissione Pari Opportunità, nella quale si è svolta una discussione ampia
e non condizionata da pregiudizi. sia della maggioranza del Consiglio comunale, che respinto questa imposizione ideologica, ritenendo di gran lunga più importante favorire l’autodeterminazione femminile, oltre alla piena integrazione culturale e sociale delle donne islamiche. Citando Lidia Ravera “Tutte velate, vuole la Legge Coranica. Tutte svelate,
vuole la Legge Italica. E le donne continuano a venire vestite e spogliate, obbligate e ricattate, costrette a piegarsi o comandate a ribellarsi”.

Noi vogliamo esprimere la nostra opinione e porre una domanda: ma in tutto questo inseguirsi di opinioni, tutte assolute e giuste, dove è finito il rispetto per le donne Afghane? Dove è finito l’obiettivo di risolvere l’oppressione delle popolazioni afghane e irachene? Il tutto si risolve forse attraverso le missioni militari, che ci ostiniamo ipocritamente a chiamare di pace? Siamo sicure, noi donne italiane, di favorire la liberazione delle donne straniere imponendo loro di mostrarsi senza velo? O viceversa questo è il modo più semplice di lavarci la coscienza, evitando la fatica della conoscenza e del confronto, per incoraggiare piuttosto la loro autonoma affermazione e autodeterminazione?

Noi temiamo che il proibizionismo favorirà l’integralismo religioso delle donne immigrate che, trovando incomprensibile e offensivo il nostro intervento normativo, potrebbero marcare la distanza, rifugiandosi nella loro “perfetta e rassicurante” identità culturale e religiosa.
L’altro timore, ancora più grave, è che i divieti producano segregazione con il rischio di donne fisicamente rinchiuse in casa da mariti-padroni che non accetteranno di far uscire mogli madri sorelle e figlie “svelate”. Come donne consapevoli e di sinistra, non possiamo limitarci a dare una
risposta semplice ad un problema complesso. Anche noi riteniamo una inaccettabile violenza l’imposizione del burqa e la costrizione alla completa velatura del viso.

Ma non crediamo a facili risposte normative. Non vogliamo sentirci con la coscienza a posto con divieti di cui non è possibile valutare la portata. Né vogliamo voltare le spalle e disinteressarci del problema. Le donne migranti, con diverse tradizioni culturali o religiose, devono essere aiutate, sostenute e difese se e quando vogliano ribellarsi a padri padroni, ad usanze intollerabili, alla limitazione della loro libertà personale. Questo richiede un costante lavoro di solidarietà e vicinanza, di conoscenza reciproca e di difficile confronto.

Solo così le donne si potranno affrancare dai loro oppressori, che strumentalizzano religione, usi e costumi per perpetrare l’endemico male che è quello del patriarcato, del maschilismo e del sessismo. Noi, donne occidentali, abbiamo alle spalle decenni di lotte che hanno portato alla limitazione del patriarcato, almeno nelle sue componenti più violente ed impositive, senza peraltro essere ancora riuscite a superarlo completamente. Noi, donne occidentali, dobbiamo evitare che le donne ingabbiate nel burqa passino dalla tutela dei talebani e dei komeinisti a quella dei leghisti, dalla persecuzione dell’integralismo islamico a quella della presunta superiorità morale dell’Occidente.

Le donne, tutte, hanno diritto alla autodeterminazione e alla libertà, religiosa, culturale e di genere. Ma ricordiamoci che non esistono scorciatoie. E che le donne devono liberare
sé stesse, con l’aiuto di altre donne. Nessuno può arrogarsi il diritto di farlo al loro posto, senza il loro coinvolgimento e la loro condivisione.

* responsabile questioni di genere
** responsabile migranti Federazione PRC-SE di Imola

martedì 9 febbraio 2010

Mantovano rivela «Permesso a punti ecco come funziona»

di ONOFRIO PAGONE

Si chiama «accordo di integrazione» : è un patto che un immigrato regolare dovrà firmare in questura o in prefettura al suo arrivo in Italia per ottenere un permesso di soggiorno a punti. Un impegno formale a rispettare una serie di condizioni, che implicano anche il livello di istruzione, per garantirsi il rinnovo del permesso alla scadenza biennale: nell'ottica del legislatore, è un incentivo all'integrazione sociale. Per i critici è un modo per trasformare la cultura in un nuovo muro contro l'immigrato.
L'«accordo di integrazione» introduce questo sistema a punti, da aggiungere o sottrarre al punteggio base di 30 punti che verrà riconosciuto a tutti i nuovi immigrati con il permesso di soggiorno. A coordinare il lavoro dei vari dipartimenti dei ministeri dell'Interno e del Welfare intorno a questo provvedimento è il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano, che difende la filosofia di fondo di questa disciplina, già contestata non solo dalle opposizioni ma anche all'in - terno dello stesso governo.

«Si tratta di misure - spiega Mantovano alla Gazzetta - volute perché lo straniero abbia supporti per non sentirsi un pesce fuor d'acqua quando arriva in Italia e possa capire come si vive qui. La prospettiva non è penalizzare l'extracomunitario con un percorso a ostacoli, ma al contrario permettergli un percorso di integrazione» .

Onorevole, già circolano alcune anticipazioni del provvedimento che hanno sollevato le prime critiche. «Lasciamo perdere...».
Appunto. Allora ci spieghi come funzionerà. «Lo straniero con la firma di questo accordo si impegna a conoscere la lingua italiana, a conoscere i valori fondamentali della Repubblica, a conoscere come funziona la vita civile nel nostro Paese. Non si tratta di prendere la laurea in diritto pubblico, ma di avere le minime cognizioni per uscire di casa e sapere dove andare. La lingua, per esempio: è previsto il livello minimo essenziale per farsi capire, solo i primissimi elementi».
E sui valori della Repubblica? «Per esempio l'uguale dignità tra uomo e donna e in generale tra ogni essere umano, cosa non sempre scontata. Così come per la vita civile, noi insistiamo sugli aspetti sociali, cioé sapere cos'è la Asl, come ottenere un medicinale in farmacia, oppure l'obbligo scolastico per i figli minorenni, in genere come fruire del servizio sociale. Tutto è funzionale a rendere migliore la vita, non a danneggiarla. Prevediamo perciò una formazione civica: un corso di cinque o dieci ore promosso da prefettura e enti territoriali» .
Questo nella prima fase. E poi? «Così funziona sino alla prima scadenza del permesso. Per il rinnovo scatta il sistema del punteggio: i 30 punti iniziali possono crescere o diminuire in base ad alcuni indici prestabiliti» .
Quali sono i criteri di decurtazione? «Sono molteplici: le condanne penali, le misure di prevenzione, o anche l'inadempimento dell'obbli - go scolastico. Vengono sottratti 3 punti per condanne fino a tre mesi, 5 punti per condanne da 3 mesi a un anno, 10 punti da uno a due anni, 15 punti da due a tre anni e venti punti per condanne a più di tre anni di reclusione».
Alla scadenza di questo biennio di permesso, che succede con i punti? «Si fa una verifica sul rispetto dell'accordo: se i punti sono diminuiti, la proroga del permesso vale solo per un altro anno con un ulteriore impegno formale da parte dell'immigrato; se invece nel punteggio si scende sotto lo zero, allora il permesso è revocato e lo straniero viene espulso».
E i punti in aumento, invece, come funzionano? «Il punteggio è differenziato a seconda della conoscenza della lingua: se è parlata 8 punti, il doppio se è anche scritta; se il livello di conoscenza è superiore l'oscillazione sale tra i 22 e i 26 punti. Chi frequenta corsi di cultura civica acquisisce sei, nove o dodici punti a seconda del livello del corso, altri 4 punti per i corsi di istruzione, 20 punti per il diploma professionale e così via».
Cioé la cultura premia molto più di quanto penalizzi un reato? «Sì, il punteggio in positivo è più generoso di ciò che viene tolto, perché l'intento non è punitivo ma punta a favorire l'integrazione. Qui si parla di elementi fondamentali finalizzati all'integrazione» .
Nelle stesse condizioni di un immigrato, quanti punti secondo lei guadagnerebbe un cittadino italiano nato in Italia da genitori italiani se interrogato su domande di educazione civica? «Un qualsiasi ragazzo italiano di 14 anni, cioé nella fascia dell'obbligoscolast ico, riconoscerebbe ad esempio la stessa dignità all'uomo e alla donna. E tranne qualche pazzo, sarebbe difficile per noi dare una risposta sbagliata a proposito di differenze razziali o sul colore della pelle».
Non trova singolare imporre queste regole a punti alle stesse persone costrette a lavorare in nero, senza tutele previdenziali, senza assistenza sanitaria? «Un datore di lavoro compie illeciti penali e amministrativi in certi casi, dunque lo Stato interviene anche su questo fronte. E la legge garantisce l'assistenza sanitaria anche a un clandestino; certo, se il clandestino necessita di lungodegenza o di fisioterapia è diverso, viene espulso. Ma la sua salute è salvaguardata dalla legge, non c'è obbligo di denuncia a carico dei medici».
Eppure queste misure non piacciono anche a esponenti del centrodestra, come il ministro Giovanardi. «Questa è una norma di buonsenso, in attuazione del pacchetto sicurezza che è una legge già approvata. Le eccezioni sollevate dipendono solo da un difetto di informazione perché il provvedimento non è ancora pubblicato».
Crede che i vescovi accetteranno che un immigrato possa essere espulso per demeriti culturali? «Ogni critica è di sprone a fare meglio e di più, purché sia basata sugli atti. Al momento ogni valutazione non può essere basata sugli atti perché gli atti non sono ancora stati pubblicati. E comunque questo meccanismo già vige in altri Paesi, per esempio nel Regno Unito. Per noi comporterà uno sforzo organizzativo notevole perché si tratta di valorizzare ciò che già esiste per l'integrazione degli extracomunitari. E forse eviteremo pure qualche spreco di risorse...».
Che tempi prevede per l'entrata in vigore di questa nuova norma? «La procedura prevede l'acquisizione di vari pareri. Ora siamo al Consiglio di Stato. Credo che nel giro di qualche settimana il ministro dell'Interno potrà firmare il decreto attuativo della legge».
La Gazzetta del Mezzogiorno

Il muro della cultura per cacciare gli immigrati

di Carlo Bollino


Mentre scuole e università italiane scendono sempre più giù nelle classifiche europee di qualità e il ministro Gelmini riduce orari di lezione e numero di insegnanti, il governo introduce l’istruzione come requisito da imporre agli immigrati per ottenere il rinnovo del permesso di soggior no. Non per accedere alle nostre università, si badi bene, ma per continuare a lavorare nei campi, per fare le badanti, per scaricare cassette di frutta ai mercati generali, per pascolare le mandrie e dar da mangiare a polli e maiali negli sterminati allevamenti del nord-est. Lavori che noi italiani, ritenendoci ormai troppo colti, ci rifiutiamo sdegnosamente di fare. Superata l’età dell’obbligo scolastico quella della lettura e del sapere dovrebbe restare in una normale democrazia una strada eventuale, da percorrersi quindi per libera scelta e mai per imposizione di legge.


E così è infatti per ogni cittadino comunitario. Non lo è invece (o rischia di non esserlo più) per gli extracomunitari, dai quali si pretende da ora in poi un percorso di erudizione coercitivo a prescindere da età, livello di istruzione, storie e sogni personali. In risposta ai disordini di Rosarno, e all’intolleranza razziale esplosa in quella «caccia al negro» poi riuscita giacchè tutti sono stati effettivamente cacciati, il ministero dell’Interno ha annunciato l’introduzione di nuove regole (più restrittive) per concedere alla scadenza dei primi due anni il rinnovo del permesso di soggiorno.


Lo hanno chiamato «permesso di soggiorno a punti», proprio come la patente: solo che per gli stranieri non vale la buona condotta e il rispetto delle regole, individuati come criteri per valutare un automobilista, ma conta la preparazione personale. Esattamente come accade per i voti sulla pag ella. Dopo i primi 24 mesi, spesso faticosamente trascorsi guadagnando 20 euro al giorno e dormendo sfiniti in luridi casolari, gli extracomunitari ospitati in Italia dovranno sostenere un esame presso lo Sportello unico per l’immigrazione. E qui – pena l’espulsione - dovranno dimostrare di aver studiato. Inflessibili funzionari di polizia li potranno interrogare sui «principi fondamentali della Costituzione» , oppure su «organizzazione e funzionamento delle istituzioni pubbliche italiane». Dovranno cioè rispondere su argomenti spesso (purtroppo) ignoti non solo ad una moltitudine di massaie e di impiegati italiani, ma persino a numerosi laureati, come ad esempio quello che interrogato all’esame per diventare giornalista professionista (quindi mica per andare a lavorare nei campi) risponde senza imbarazzo che «i fondatori di Roma furono Remolo e Romo». Mentre un suo collega candidato agli esami di magistratura sostiene che «la revisione della carta costituzionale prevede l’approvazione della revisione dai due lati del Parlamento».


Se a rispondere fossero stati due nigeriani sarebbero stati espulsi. Per gli immigrati le materie di esame non finiscono qui. Potranno infatti essere interrogati pure sul funzionamento del sistema sanitario nazionale, delle scuola e dei servizi sociali, sulle regole del lavoro (paradossale per chi è costretto a lavorare in nero) e sugli obblighi fiscali in vigore in Italia. Materia certamente nota ai loro datori di lavoro che soprattutto in agricoltura (dove quegli stessi extracomunitari vengono più spesso impiegati) ne sono - si fa per dire - rigorosi custodi. Gli esami «per restare» dovranno essere svolti in perfetto italiano giacché la conoscenza della lingua sarà poi, fra tutti i requisiti, il primo da rispettare.


In appena 24 mesi un contadino del Ghana o del Marocco dovrà insomma imparare l’italiano, pretesa tanto più paradossale per un Paese come il nostro nel quale la conoscenza della lingua inglese (non del cordofaniano sudanese) riguarda appena il 15 per cento della popolazione, mentre l’uso di un terzo idioma è privilegio di appena il 3 per cento. La nuova procedura potrebbe entrare in vigore entro due mesi. L’obiettivo, spiegano i suoi ideatori, «è testare la reale volontà di integrazione dello straniero». La cultura diventa per legge discrimine sociale. E così quando un extracomunitario verrà espulso pur senza aver commesso alcun reato, per difenderci dall’accusa di razzismo non servirà inventarsi mille altri alibi: basterà spiegare che era ignorante.