mercoledì 10 febbraio 2010

Il burqa, velo della coscienza

da Antonella Caranese*
Daniela Spiga**
IL MANIFESTO SARDO
05/02/2010


La Commissione di studio del Parlamento francese si muove verso il divieto per le donne di indossare il burqa e il niqab nei luoghi pubblici: presto una legge potrebbe vietarne l'uso nelle scuole, ospedali, trasporti pubblici e uffici statali. Il divieto di indossare burqa e niqab per le donne musulmane è stato invocato dalla maggior parte dei partiti di destra dei paesi dell'Unione europea, Italia compresa: qui da noi, infatti, la Lega ha presentato un'analoga proposta di legge, sulla quale la ministra Carfagna si è espressa immediatamente a favore, così come, in maniera trasversale, molte donne di destra e di sinistra.
Vietato il burqa, per legge o per decreto: strappiamo, con l’imposizione normativa, alle immigrate il niqab dalla faccia.

Fuori dalle scuole europee le sottomesse alla religione. Se vogliono stare nei nostri civilissimi Paesi, che si mettano anche loro microgonna e push-up, esattamente come facciamo noi, che abbiamo conquistato, sebbene solo formalmente, la libertà di farci valutare al primo sguardo.
Davvero crediamo così di avere dato “pari opportunità” alle immigrate? Vietando loro di essere diverse da noi? È autentico questo improvviso, prepotente e improcrastinabile interesse per l’emancipazione femminile? E siamo sicure/i che legiferare sul corpo delle donne, come se non
appartenesse alle donne stesse, in quanto persone, ma piuttosto allo Stato e più precisamente al Governo, sia il modo giusto?

Anche il Consiglio Comunale di Imola si è occupato del tema il 13 gennaio scorso, a seguito ad una mozione presentata dal Consigliere Mondini (UCD) che addirittura, da un punto di vista meramente maschile (noi diciamo anche maschilista) voleva imporre per regolamento di escludere dai benefici economici comunali le donne che indossano il burqa o il chador oltre che
chiedere l’affissione di un cartello, alle porte della città, inneggiante alla non disponibilità della nostra città ad accogliere donne velate. In questo senso abbiamo accolto con favore il dissenso espresso sia dalla Commissione Pari Opportunità, nella quale si è svolta una discussione ampia
e non condizionata da pregiudizi. sia della maggioranza del Consiglio comunale, che respinto questa imposizione ideologica, ritenendo di gran lunga più importante favorire l’autodeterminazione femminile, oltre alla piena integrazione culturale e sociale delle donne islamiche. Citando Lidia Ravera “Tutte velate, vuole la Legge Coranica. Tutte svelate,
vuole la Legge Italica. E le donne continuano a venire vestite e spogliate, obbligate e ricattate, costrette a piegarsi o comandate a ribellarsi”.

Noi vogliamo esprimere la nostra opinione e porre una domanda: ma in tutto questo inseguirsi di opinioni, tutte assolute e giuste, dove è finito il rispetto per le donne Afghane? Dove è finito l’obiettivo di risolvere l’oppressione delle popolazioni afghane e irachene? Il tutto si risolve forse attraverso le missioni militari, che ci ostiniamo ipocritamente a chiamare di pace? Siamo sicure, noi donne italiane, di favorire la liberazione delle donne straniere imponendo loro di mostrarsi senza velo? O viceversa questo è il modo più semplice di lavarci la coscienza, evitando la fatica della conoscenza e del confronto, per incoraggiare piuttosto la loro autonoma affermazione e autodeterminazione?

Noi temiamo che il proibizionismo favorirà l’integralismo religioso delle donne immigrate che, trovando incomprensibile e offensivo il nostro intervento normativo, potrebbero marcare la distanza, rifugiandosi nella loro “perfetta e rassicurante” identità culturale e religiosa.
L’altro timore, ancora più grave, è che i divieti producano segregazione con il rischio di donne fisicamente rinchiuse in casa da mariti-padroni che non accetteranno di far uscire mogli madri sorelle e figlie “svelate”. Come donne consapevoli e di sinistra, non possiamo limitarci a dare una
risposta semplice ad un problema complesso. Anche noi riteniamo una inaccettabile violenza l’imposizione del burqa e la costrizione alla completa velatura del viso.

Ma non crediamo a facili risposte normative. Non vogliamo sentirci con la coscienza a posto con divieti di cui non è possibile valutare la portata. Né vogliamo voltare le spalle e disinteressarci del problema. Le donne migranti, con diverse tradizioni culturali o religiose, devono essere aiutate, sostenute e difese se e quando vogliano ribellarsi a padri padroni, ad usanze intollerabili, alla limitazione della loro libertà personale. Questo richiede un costante lavoro di solidarietà e vicinanza, di conoscenza reciproca e di difficile confronto.

Solo così le donne si potranno affrancare dai loro oppressori, che strumentalizzano religione, usi e costumi per perpetrare l’endemico male che è quello del patriarcato, del maschilismo e del sessismo. Noi, donne occidentali, abbiamo alle spalle decenni di lotte che hanno portato alla limitazione del patriarcato, almeno nelle sue componenti più violente ed impositive, senza peraltro essere ancora riuscite a superarlo completamente. Noi, donne occidentali, dobbiamo evitare che le donne ingabbiate nel burqa passino dalla tutela dei talebani e dei komeinisti a quella dei leghisti, dalla persecuzione dell’integralismo islamico a quella della presunta superiorità morale dell’Occidente.

Le donne, tutte, hanno diritto alla autodeterminazione e alla libertà, religiosa, culturale e di genere. Ma ricordiamoci che non esistono scorciatoie. E che le donne devono liberare
sé stesse, con l’aiuto di altre donne. Nessuno può arrogarsi il diritto di farlo al loro posto, senza il loro coinvolgimento e la loro condivisione.

* responsabile questioni di genere
** responsabile migranti Federazione PRC-SE di Imola

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